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Enrico Muttoni 19 luglio 2016
L'opinione di Enrico Muttoni
Troppi dettagli sui rifiuti col mistero smaltimento


Tempo fa ho comprato un etto di mortadella. Che mi è stata confezionata in un sacchetto di “carta” di alluminio, che ne conteneva uno di “carta” di carta, che conteneva il salume le cui fette erano separate da “carta”di cellofan, ma poteva pure essere pellicola di politene. Al momento di gettare questi involucri, sono stato raggiunto da un grido:”Cosa fai!”. Mi sono bloccato, e ho capito. Io ho tre figli accasati: a Roma, a Fucecchio (Firenze) e alla Spezia, e ho dovuto ricordare in quale comune mi trovassi in quel momento. Perché, è ovvio, ogni comune ha il suo regolamento di nettezza urbana, la sua merceologia, il suo sistema di raccolta dei RSU. Regolamenti che a prima vista sembrano tutti simili, ma che nei dettagli hanno più sfumature dei colori di un Van Gogh. Pochi giorni fa il Sindaco di Alghero ha emanato 18 pagine di ordinanza per la regolamentazione della raccolta dei rifiuti. Sono convinto che nessun altro aspetto della via di un cittadino sia così puntigliosamente regolato, con tanta accuratezza e precisione. Come nelle grida manzoniane, così ben compulsate dal dottor Azzeccagarbugli, c’è previsto e compreso tutto. O quasi. Mettiamoci nei panni del turista, italiano o straniero, che deve districarsi da normative tanto assurde.

L’ordinanza, per prima cosa, cambia la lingua italiana, come ormai troppo spesso accade. Due concetti assoluti, vuoto e pulito (o sporco), diventano relativi: infatti nella carta si possono gettare le scatole per pizza, se non troppo sporche; e i tubetti di dentifricio, maionese si gettano solo se vuoti. Vuoti? Qui affiora la contraddizione di termini che informa tutta la normativa sui rifiuti: il concetto di rifiuto pulito. Infatti il cittadino si deve far carico di svariate operazioni di pulizia preventiva, lavando contenitori di ogni genere. Dopo di che la merceologia burocratica si scatena con un elenco di materiali scritti così come venivano in mente agli estensori del testo. Nella categoria plastica e vetro è compreso anche l’acciaio e la banda stagnata. La categoria, importantissima, delle latte delle vernici e relativi solventi, la cui gestione dovrebbe essere illustrata e non solo vagamente citata con l’acquaragia. In compenso vengono citati infatti il filo interdentale (!), i negativi e rullini fotografici(che nostalgia!), le lampadine ad incandescenza (separate dalle altre, vai a capire perché), la gomma da masticare (attenzione, perché forse un chewingum su un milione finisce nella spazzatura: meglio inghiottirli?).

La sensazione è che questi elenchi siano i residuo finale di un lavoro di copia-incolla che dura da troppo tempo: le pellicole fotografiche sono ormai uscite di produzione da qualche anno. Niente di grave, ma un tecnico che legga i testi prima di farli firmare al Sindaco, c’è?
C’è da chiedersi il motivo che ha generato questo provvedimento. Certo la città può apparire, in alcuni punti, molto più sporca di quanto la decenza possa tollerare: per esempio, il famoso angolino posto alla biforcazione di via Garibaldi con via degli Orti; oppure le reti metalliche delimitanti i lotti di Galboneddu, tappezzate di cartacce. Qui la natura dà una lezione su come si possa attuare la differenziata a macchina: infatti opera un’accurata selezione e raccolta della carta. Si sa che in Italia, quando una cosa va storta, è perché manca una legge, o un regolamento. Detto fatto, e a costo zero. L’unica vera novità è la puntualizzazione degli orari per il gettito. Infine c’è una cosa francamente intollerabile: che l’utente, trovando i contenitori pieni, debba a norma di regolamento, riportarsi la spazzatura a casa. L’amministrazione dovrebbe predisporre la collocazione dei cassonetti in apposite piazzole, lavabili, per consentire il deposito della spazzatura in eccesso. Fenomeno che è quasi una regola per quanto riguarda il vetro, che spesso viene ritirato ben dopo l’esaurimento delle campane.

Tanto dettaglio nelle disposizioni per la raccolta stride con il velo di mistero che circonda il percorso di smaltimento dei rifiuti: vediamo qualche numero. La Sardegna e Milano hanno un numero di abitanti confrontabile: 1.650.000 contro 1.350.000 (senza contare il numero dei pendolari). Questo significa che la nostra regione e Milano producono ogni giorno , con buona approssimazione, la stessa quantità di RSU, 2200 tonnellate. Ma Milano occupa 182 kmq, mentre la Sardegna si estende per ben 24000 Kmq, 132 volte tanto. La densità abitativa passa dai 7417 abitanti/kmq di Milano ai 68 della Sardegna. Cagliari, per fare un ulteriore confronto, si estende per 65 kmq, e ha 1816 abitanti per kmq.
Non è necessario avere né un seggio in Regione, né una cattedra all’Università per capire che i costi per la raccolta e smaltimento dei RSU in Sardegna sono insostenibili, se si usano gli stessi metodi di Milano, o di qualunque altra zona densamente popolata. Per di più a Milano transita il 24% del PIL, la Sardegna si accontenta di molto, molto meno. Il problema rifiuti, dunque, in questi frangenti lo si può risolvere solo tartassando i contribuenti, oppure esaminando la situazione ripartendo da zero, e dotando la Sardegna di impianti adatti al trattamento. Sinora si è raccontata la favoletta del riciclo, bisogna dire con successo: musica per le orecchie di ambientalisti senza calcolatrice.

Basta pensare, per esempio, che la vetreria (l’impianto dove si lavora il rottame di vetro) più vicina ad Alghero sta ad Empoli (Firenze). La Toscana è pure la regione che ospita le acciaierie e le cartiere più vicine. Non so dove venga riciclata la plastica: mi risulta che , al massimo, la plastica recuperata nella regione venga confezionata , per essere a sua volta spedita in continente. Anche qui, in assenza di cifre difficilmente verificabili, dovrebbe bastare il buon senso per capire chi paga le spese di questo traffico di spazzatura. Il governo Regionale qualcosa ha fatto, per migliorare la situazione, con il piano degli osteggiatissimi termovalorizzatori . Esistono anche tecniche più moderne ed efficaci, che consentono il dimensionamento degli impianti alle piccole realtà, evitando che i rifiuti si allontanino troppo dal luogo di produzione, e che consentano di tenere la spesa sotto controllo. Che dovrebbe suggerire, per esempio, di posizionare lungo la quattro corsie per Sassari un cassonetto a chilometro. 64 cassonetti servirebbero al decoro pubblico ben più delle centinaia di lampioni che illuminano vanamente la campagna notturna. Ma sperare in questo, per il momento, costituisce solo uno sfrenato ottimismo.


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