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M.P. 23 agosto 2016
Fabio Raimondi nuovo capitano del Gsd Porto Torres
Il giocatore bergamasco si appresta a vestire la maglia biancoblù per la nona stagione


PORTO TORRES - Il Gsd Porto Torres ha festeggiato ieri i 20 anni di attività. Un anniversario importante per la società del presidente Bruno Falchi, giovane ma ormai matura per competere ai più alti livelli del basket in carrozzina italiano ed europeo. Una storia ricca di soddisfazioni e caratterizzata da una costante crescita che, negli anni, l’ha portata ad arrivare e stabilizzarsi tra le prime otto squadre d’Europa e che ha regalato la possibilità di vedere all’opera straordinari campioni. Uno di questi è Fabio Raimondi, quarantaquattrenne bergamasco, ma ormai sardo di adozione (sposato con Marzia, sassarese), che quest’anno indosserà la maglia biancoblù per la nona stagione.

E chi più e meglio di lui, con la sua quasi trentennale carriera, potrebbe assumere l’importante ruolo di capitano? Un ruolo che, a Porto Torres, ha già avuto in passato e che ora torna nelle sue mani quasi di diritto. La sua esperienza turritana, per durata, è al momento seconda solo a quella nel Santa Lucia Roma (10 anni di permanenza), in una carriera iniziata nel ’91 a Bergamo e che lo ha portato anche a Cantù, Madrid e Sassari (sponda Anmic prima e sponda DinamoLab dopo, nell’anno della promozione in Serie A), oltre che ad indossare fieramente, in tanti successi, la maglia numero 4 della Nazionale, proprio da lui resa famosa, fino all’estate scorsa.

Fabio Raimondi è arrivato a Porto Torres, per la prima volta, nel 2004, dopo la lunga parentesi romana. I suoi nove anni nel Gsd non sono stati consecutivi, ma come il “figliol prodigo”, prima o poi, è sempre tornato e sempre è stato accolto con lo stesso affetto e la stessa sconfinata stima. Dopo aver vinto quattro Scudetti, tre Coppa Italia, una Supercoppa, due Coppe dei Campioni, una Vergauwen Cup, una Brinkmann Cup come trofei di club, a cui si aggiungono anche lo Scudetto e la Coppa del Re spagnoli, più due titoli europei (2003 e 2005) con la Nazionale, Fabio ora è definitivamente “a casa” dalla scorsa stagione, iniziata a Cantù e portata a termine con la maglia del Gsd: «Tutto sommato quella passata è stata una ottima stagione – dichiara – Io sono entrato a campionato iniziato, in un gruppo in cui certe dinamiche di squadra erano già ben definite, ma posso ritenermi soddisfatto, anche se penso che nel finale di stagione avremmo potuto essere una sorpresa e puntare a qualcosa di importante. Cosa migliorare? Bisogna continuare a lavorare con umiltà e poca presunzione. Condivido l'idea di un grande allenatore che diceva che si pianifica e prepara tutto in allenamento, mentre in partita si va solo a ritirare le coppe».

Come ti sembra la squadra allestita quest’anno?
«Un’ottima squadra, con tanti giocatori di livello elevato che possono risolvere la partita. La cosa fondamentale e che farà la differenza, sarà la voglia di mettersi uno a disposizione dell’altro e poi, senza dubbio, quando hai una Ferrari in mano, chi la guida la deve sfruttare al massimo e penso che, da questo punto di vista, con coach Carlo Di Giusto si possa dormire sonni tranquilli».
Ritrovi coach Di Giusto dopo averlo avuto come allenatore per tanti anni, al Santa Lucia ed in Nazionale. Cosa darà al Gsd ed a cosa può puntare il Gsd con lui?
«Carlo senza ombra di dubbio porterà la sua grandissima esperienza e le sue idee di gioco, che chiaramente sono vincenti, visti i risultati che ha ottenuto nella sua carriera, ma sarà importante l'organizzazione di gioco quasi maniacale che nelle squadre di Carlo è sempre ben presente. A cosa potrà portare il Gsd lo vedremo, lo sport non è matematica, lasciamolo lavorare e poi vedremo cammin facendo, anche se io sono convinto che sarà una grande stagione».
Ha fatto la storia del basket in carrozzina italiano ed è uno dei migliori allenatori d’Europa. Una carriera costellata di tanti successi.
Qual è la sua forza, secondo te?
«La forza di Carlo risiede nel fatto che, oltre a conoscere molto bene il basket in carrozzina, riesce a trasmettere ai propri atleti cosa vuole da ognuno, senza molti giri di parole. Chiaramente ha un enorme carisma e sa togliere da ogni giocatore il massimo».
C’è un aneddoto simpatico che riguarda te e lui e che ci vuoi raccontare?
«Ricordo benissimo una partita contro il Brasile, ad un Mondiale, in cui mi disse durante il time-out: “Adesso mi metti una bomba e li mandiamo a casa”. Io entrai e ne misi due consecutive, sbagliai la terza ed imprecai contro me stesso per l'errore. Carlo chiamò time-out e mi disse: “Tranquillo, che cosa vuoi fare, segnarle tutte?”. Mi fece sorridere. Però, se devo essere sincero, potrei scrivere un libro di aneddoti che riguardano Carlo e me. Per quanto concerne le vittorie insieme, invece, non serve che le dica io, le statistiche parlano».
Cosa è per te il Gsd Porto Torres?
«Porto Torres per me è casa. Nel 2004, dopo aver vinto tutto con il Santa Lucia, ho deciso di venire qui perché volevo trovare nuovi stimoli e sono stato accolto come un figlio, tanto che poi ho deciso di trasferirmi definitivamente in Sardegna. Mi sento sardo d'adozione e ho voluto tatuarmi la Sardegna sul braccio, accompagnata dalla scritta “Così era scritto nel mio destino”. Non voglio citare qualcuno in particolare di tutte le persone che mi sono state vicine in questi anni per non fare torto a nessuno, perché sono veramente tante. Però una menzione speciale la devo a Bruno Falchi,che mi ha sopportato in momenti in cui nemmeno io riuscivo a farlo. Questa è una delle ragioni della nostra grande amicizia».
Hai 44 anni, l’estate scorsa hai deciso di “mettere da parte” la maglia della Nazionale, ma vedendoti in campo, il giorno in cui smetterai di giocare sembra ancora lontanissimo: cosa ti permette di avere questa voglia e questo entusiasmo, dopo tante partite disputate e tanti successi?
«Dopo la mancata qualificazione per Rio, che ancora difficilmente digerisco, ho deciso di lasciare la Nazionale dopo 27 anni… una vita! Assicuro che non indossare più la maglia azzurra mi fa scendere una lacrima, perché la maglia azzurra dopo così tanto tempo è come averla tatuata sulla tua pelle. Però ho ricordi bellissimi: due campionati Europei vinti, nel 2003 a Sassari-Porto Torres e nel 2005 a Parigi, senza perdere un incontro nei due eventi, con Carlo Di Giusto coach ed io ero il capitano. Nel 2003 io MVP d'Europa, quando ancora si votava solo un giocatore e a Parigi, mentre mi accingevo a sollevare la coppa, i miei compagni che hanno sollevato me. Emozioni da brividi. Ho sempre detto che il giorno che non mi sentirò più competitivo lascerò il basket giocato. Credo che non andrò avanti ancora a lungo, mi piace l'idea di diventare coach, ma prima di smettere vorrei vincere qualcosa con Porto Torres, per poter far vedere al mio bimbo Stefan (che ha compiuto gli anni proprio ieri, nel giorno del compleanno del Gsd, ndr) che il suo papà ha vinto. Il mio ritiro dalla Nazionale è stato sofferto, ma giusto, perché secondo me, anche se ancora avrei potuto dire la mia, avere vicino un mio pari ruolo più giovane avrebbe ostacolato la sua crescita. La cosa che mi consola è che molte volte, quando passeggio per Sassari e qualche persona mi ferma per scambiare due chiacchiere, chiedendomi le motivazioni del mio abbandono della maglia azzurra e rendendomi ancora più nostalgico, mi dice “Tu sarai per tutti, sempre, il numero 4 della Nazionale”. Mi fanno capire che probabilmente in 27 anni di carriera in cui mi hanno visto giocare, qualcosa ho lasciato e questo rende meno amara la decisone presa».


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