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Sara Alivesi 7 dicembre 2016 video
Scempio fronte mare a Mugoni | Guarda
Interventi e bonifiche mai realizzate, nonostante i rischi ambientali emersi già all'indomani del rogo. Tornare dopo oltre un anno nel luogo del disastro è come fermare il tempo nelle grandi incompiute del territorio algherese. Le immagini 14 mesi dopo il rogo


ALGHERO - Dopo il disatro, il silenzio. Un silenzio lungo 14 mesi e 432 giorni quello che avvolge la pineta di Mugoni andata a fuoco nella notte tra il 19 e 20 settembre di un anno fa [GUARDA]. Quindici ettari che costeggiano la costa algherese bruciati da chi troppo spesso rimane impunito, i piromani [LEGGI]. Nella categoria dei malviventi, quella dei piromani in Sardegna trova terreno fertile, purtroppo, per le condizioni climatiche (vento) e gli errori della politica (a tutti i livelli) che troppo spesso preferisce risparmiare sulle strutture e i mezzi a disposizione delle forze di soccorso: vigili del fuoco su tutti.

Una politica, in questo caso regionale, colpevole soprattutto nel dopo catastrofe: assente negli interventi e nelle bonifiche promesse. Nonostante le richieste del territorio [LEGGI], dei politici locali [LEGGI], delle borgate [LEGGI], di un'interpellanza ad un ministro [LEGGI], degli ambientalisti [LEGGI].

Dall'allora presidente del parco di Porto Conte (in cui l'area è compresa) Antonio Farris alle associazioni, l'urlo di dolore è stato unanime: oltre alla vegetazione persa irrimediabilmente, è il rischio ecologico e ambientale ad aver messo tutti in allarme: «Si tratta di un vero e proprio disastro ambientale, non tanto per i danni del fuoco, quanto per le conseguenze dirette ed indirette che questo determina sugli habitat marino e terrestre. C'è il serio pericolo che l'acqua possa trasportare a mare le sostanze inquinanti con contaminazione di suolo e acqua» spiegava il professor Farris, in quei giorni ancora alla guida dell'ente che ad Alghero gestisce e coordina le azioni di tutela, sviluppo e salvaguardia ambientale del Parco terrestre, le cui competenze riguardano anche l'Area Marina Protetta di Capo Caccia-Isola Piana. Un allarme, peraltro, che cresce soprattutto con l'arrivo delle piogge e che non si ha motivo di credere sia rallentato o cessato per adeguarsi ai tempi giurassici dei palazzi.

Conferenze di servizi, tavoli e riunioni per settimane e mesi si sono susseguite per evidenziare i pericoli e le emergenze, e stabilire le azioni da mettere in campo con i relativi costi, valutati in due milioni di euro. Poi il nulla, o quasi. Si è solamente provveduto all'indomani del rogo a rimuovere le bombole di gas presenti sulle aree dei campeggi di Sant’Igori e Sant’Imbenia; e qualche settimana più tardi il Comune di Alghero ha completato un progetto di realizzazione di barriere, recinzioni e bonifiche per una parte dell'area compromessa. Mai realizzate. E' seguito anche un bando lo scorso marzo pubblicato da Sant'Anna per i lavori di messa in sicurezza: 120 mila euro del bilancio dell’Amministrazione comunale algherese per la bonifica dei terreni comprensivi delle caratterizzazioni ambientali e degli oneri di trasposto e smaltimento.

Tuttavia, ne' sui piccoli ne' sui grandi interventi, si è mosso qualcosa. Così, tornare dopo oltre un anno nel luogo del "delitto", è come fermare il tempo nelle grandi incompiute del territorio algherese. Lo scenario è di totale devastazione, come nelle immagini esclusive del drone pubblicate dal Quotidiano di Alghero nelle settimane successive all'incendio [GUARDA]: residui di una serie di materiali combustibili, strutture lignee e metalliche di vario genere, caravan, barche, altri manufatti in plastica e vetroresina, coperture in lamiera (alcune con coibentazione in poliuretano), coperture ondulate in fibrocemento. Pochi metri più in là le spiagge che tutto il mondo celebra ed ammira.
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