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Luciano Deriu 3 ottobre 2017
L'opinione di Luciano Deriu
In Catalogna la nuova Diada


I Catalani la Diada non l’hanno mai dimenticata, la celebrano ogni anno l’undici settembre. Lo scontro di oggi affonda le radici lontano, forse proprio lì. Quando era in corso il conflitto per il bottino di un impero in dissoluzione, la guerra di successione spagnola; e tra i due pretendenti al trono di Spagna, il francese Filippo V e l’austriaco Carlo d’Aburgo, la Catalogna, temendo (a ragione) di perdere la sua autonomia, si schierò contro il francese. Ma Filippo V divenne re di Spagna e mandò gli eserciti contro il Principato mettendolo a ferro e fuoco. Barcellona fu assediata dalle truppe di Madrid per diversi mesi, brutalmente devastata e, subito dopo, Filippo V emanò la nueva planta, in cui abolì la Corona d’Aragona e trasformò la Spagna da confederazione di stati in uno stato centralizzato. Barcellona perse ogni autonomia. Per questo motivo la ricorrenza della caduta di Barcellona (11 settembre 1714) è dal 1980 la Diada Nacional de Catalunya.

Fu quello l’apice dell’antagonismo tra Barcellona e Madrid. Ci furono altri tempi molto duri, in particolare sotto il regime di Franco. Ma ora, da cinquant’anni, la Catalogna ha potuto vivere un periodo di lunga pace che gli ha consentito di diventare un popolo ricco, evoluto e civile. Oggi non ci sarà una Diada di sangue, ma l’approccio usato da Madrid è ancora oppressivo e liberticida. Da anni il governo di Madrid non risponde alle rivendicazioni di Barcellona. E oggi usare strumenti repressivi, stato di polizia, per non far votare un popolo è un modo da regimi totalitari. C’erano un’infinità di mezzi di interlocuzione che si potevano usare con un popolo amico. Iniziando dal capire quale sia l’effettiva domanda popolare di secessione. Un referendum senza quorum non attesta niente. I sondaggi più seri, pubblicati sul New York Times dicono che l’ottanta per cento dei catalani desidera sì votare, però meno della metà sceglierebbe l’indipendenza. Infatti ci saranno molte schede bianche tra cui quella della sindaca della città.

Un popolo ha diritto di votare, per manifestare la sua volontà. E se votare è illegale, è proprio l’azione liberticida di Rojio che gli dà forza e legittimazione. Per legittimare l’azione di un popolo non c’è niente di meglio che trasformarlo in una vittima della libertà. Allora ha tutti i diritti, certificati o no, di ribellarsi. Nei prossimi giorni non si vedrà probabilmente nessuna indipendenza, ma conflitti continui guerreggiati, nelle strade, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, ovunque; spero non violenti, fidandoci della saggezza del popolo catalano.
Neppure i politici catalani sono stati avveduti. Mai hanno spiegato con chiarezza quali prezzi comporterebbe la secessione, perché la Catalogna non ha un apparato statale pronto a camminare da solo, perdendo il loro mercato principale che è proprio la Spagna. Chi pagherà le pensioni, non è stato detto. Se non tutti vogliono la secessione, si avrà la bellezza di un paese spaccato a metà, gli uni contro gli altri? E quante etnie minori sono pronte a loro volta a staccarsi? C’è un rischio di balcanizzazione?

Facile usare la demagogia della patria, un concetto sempre pronto per arginare ogni problema, da sempre eccitante ed esaltante, che dà ogni colpa agli “altri”, tutto copre, tutto livella, soprattutto la crescita abnorme delle disuguaglianze che avviene oggi in Catalogna a danno dei più deboli. La Catalogna ha diritto di votare, ha diritto ai più alti livelli di autonomia, ripartendo forse da quella legge presentata da Zapatero e bocciata dai parlamenti. Finiti i giorni della collera è bene che Rojio si dia una calmata. I muscoli li abbiamo visti, ora vogliamo vedere l’intelligenza. E vedere Madrid trattare con Barcellona, non con un nemico, ma come un paese amico e fratello con cui si è divisa una storia comune nel bene e nel male e che oggi volge, grazieadio, decisamente al bene. I decisori politici di Barcellona, se, come credo, non è solo una questione di tasse, comincino a pensare a costruire un più alto livello di apparato statale, adatto ad un paese autonomo, libero con la proposta di un modello di Confederazione di stati dove ognuno abbia la più ampia libertà e si senta a casa propria. Anche noi che vogliamo bene ai catalani e siamo di casa a Barcellona.


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