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Red 22 ottobre 2018
Accademia Olearia: ecco il frantoio del futuro
«L’eccellenza? Passione e innovazione». L’azienda algherese illustra un piano di investimenti da 4milioni di euro. Parla Antonello Fois, responsabile amministrativo e commerciale dell’impresa di famiglia


ALGHERO - Il frantoio del futuro? Esiste già, è ad Alghero, nella zona artigianale di Ungias-Galanté, in Via dei Carbonai. È un prototipo elaborato da Pieralisi, azienda del settore macchinari per la produzione dell’olio, su indicazione dell'Accademia Olearia, che l’ha montato e ne ha fatto l’epicentro di una rivoluzione da 4milioni di euro, che consentirà all’azienda della famiglia Fois di continuare a puntare sull’eccellenza dell’olio prodotto pur raddoppiando da qui al 2025 la quantità di bottiglie immesse sul mercato, a disposizione dei palati più esigenti, che si moltiplicano a ogni latitudine del globo. A spiegare cosa sta succedendo tra le mura dell’azienda e cosa succederà nei terreni di recente acquisizione ed in quelli già di proprietà della famiglia è Antonello Fois, che nell’attuale organizzazione è il responsabile degli aspetti amministrativi e commerciali, un “ministro degli Esteri” con il compito di aprire nuovi mercati e far conoscere nel mondo un olio cui i più prestigiosi contesti internazionali, riviste specializzate, premi super-esclusivi ed esperti riconoscono un livello qualitativo straordinario. Merito anche di Giuseppe Fois, fondatore dell’Accademia Olearia, responsabile della parte agricola dell’azienda e padre di Antonello e di Alessandro, che invece cura i processi di trasformazione e “pilota” i nuovi strumenti montati in frantoio.

Accademia Olearia conferma la propria attenzione per l’innovazione e la tecnologia.
«Oggi la tecnologia è importante. L’agricoltura è grande passione, ma per puntare alla qualità bisogna guardare ai dati scientifici in maniera oggettiva attraverso tutti gli strumenti che l’avanzare delle conoscenze mettono a disposizione di chi lavora in campagna. È un fatto che riguarda tanto la parte agronomica del processo quanto quella della trasformazione e della conservazione».

Non solo vi dotate degli strumenti più avanzati, ma li inventate.
«In effetti, abbiamo impiantato in frantoio un sistema elaborato sotto nostre specifiche dall’azienda leader del settore, Pieralisi, che ha costruito dei macchinari modificati in funzione delle nostre attese, perciò assolutamente unici al mondo».

In cosa consiste la novità più importante?
«Oggi disponiamo di una struttura di trasformazione completamente termocondizionata sia nelle fasi di frangitura, di preparazione della pasta delle olive all’estrazione, sia nella fase di estrazione, che nella parte finale di lavorazione. Questo ci consente di avere una temperatura di prodotto in uscita inferiore a quella di ingresso delle olive nel macchinario. È un sistema unico e ci consente di effettuare determinate tipologie di lavorazione che normalmente richiederebbero aumenti di temperatura».

Precisamente?
«Siamo in grado di effettuare una frangitura più veloce e conferire al prodotto finale caratteristiche più intense, cercando di valorizzare le cultivar sarde e di farle esprimere al massimo».

Tecnicamente in cosa si traduce la novità?
«Oggi, il lavoro del oleologo consiste nell’estrarre il massimo da ciò che il produttore porta in frantoio. Ci sono diverse metodiche di estrazione, e una frangitura effettuata a un numero di giri superiore conferisce al prodotto finale un maggiore tenore della componente fenolica, valorizzando e incrementando i valori nutrizionali e salutistici. Anche questo fa parte del nostro progetto».

Come mai non si è fin qui ricorso a questi sistemi di frangitura?
«Il rovescio della medaglia di questo tipo di lavorazione è che nei normali impianti generava un aumento delle temperature interne, generando uno stress al prodotto già prima dell’estrazione. Il nostro impianto oggi ci permette non solo di scegliere che frangitura effettuare, optando per una più morbida o più intensa, ma di procedere con quella più intensa pur lavorando sempre al di sotto dei 27gradi. Ma questa non è l’unica novità».

È quali sono le altre?
«È nuovo anche il protoreattore, anch’esso termocondizionato, uno strumento che bypassa le gramole, le macchine che servono per preparare la pasta all’estrazione, dove nasce il processo di coalescenza. Di solito, questo passaggio ha una durata di circa mezz’ora a seconda della tipologia di oliva e di impianto, nel nostro frantoio questo avviene in 75”, con una minore esposizione del prodotto ad agenti esterni, così da preservarlo dallo stress della gramolatura. Ma non è tutto qui».

Cosa’altro?
«La parte estrattiva è effettuata senza apporto di acqua in aggiunta, quest’anno la centrifuga necessaria per l’estrazione è stata termocondizionata anch’essa con un sistema acqua/aria che ci consente di non generare calore, mantenendo una temperatura costante standard sempre al di sotto dei 27gradi. Ma c’è altro ancora».

E di che si tratta?
«Sono state implementate delle novità per il lavaggio. Oggi, la nuova frontiera dell’innovazione è di cercare di lavorare in maniera sempre più pulita. Tutto il residuo che non viene eliminato genera microfermentazioni, che va a conferire note negative sulle caratteristiche del prodotto finale».

Davvero tante novità.
«I passi sono stati fatti tutti, ora si lavora di cesello e con buoni piloti per far andare al meglio queste macchine. Le abbiamo testate l’anno scorso e ora siamo pronti».

Da quanto esiste il frantoio dei Fois?
«La tradizione di trasformazione e produzione risale a quattro generazioni, abbiamo avuto tutti i tipi di frantoi esistiti, da quelli tradizionali, con vari tipi di pressa, ai primi a centrifuga. Oggi, senza presunzione, possiamo dire di avere l’impianto più moderno sul mercato. È una scommessa nostra e dell’azienda madre, che ha interesse a lavorare con noi, c’è una sensibilità alla novità che porta lustro anche a loro. Sinora, certi esperimenti se li sono potuti permettere solo con noi e con le università, ma di sicuro questo impianto, nei prossimi anni, avrà una richiesta e sarà un articolo a listino tra quelli proposti da Pieralisi».

Da quali dati siete partiti?
«Da quelli raccolti man mano che nuovi strumenti sono stati inseriti in azienda nel corso degli ultimi anni. L’incremento fenolico con le sole implementazioni dell’anno scorso è stato del 45percento, anche con alcune cultivar sarde che hanno difficoltà a raggiungere determinati risultati. Ma il nostro obiettivo è proprio la valorizzazione delle cultivar sarde e di un prodotto d’eccellenza e identitario».

Queste novità vi proiettano in una nuova fase anche sul piano delle quantità prodotte
«Abbiamo in previsione di implementate la produzione con altri 100ettari in cinque anni, nel 2020 saranno messe a dimora 30mila piante autoctone, che saranno gestite da un sistema automatizzato, attraverso dei sensori sul terreno. Oggi, abbiamo 250ettari e 25mila piante, entro sei anni avremo 350ettari e 58mila piante: i nuovi sistemi di coltivazione, ben lontani comunque da quelli superintensivi inadatti alle cultivar sarde, ci permetteranno una produzione più che raddoppiata, e i nuovi processi di trasformazione sviluppati ci consentiranno di poterlo fare senza venire meno al nostro impegno per l’eccellenza del prodotto finale, sotto ogni punto di vista».

Ci sono altre novità?
«Anche lo stoccaggio è una parte molto sensibile, e oggi la nostra sala di stoccaggio è a temperatura controllata e costante di 15gradi, con dei silos in acciaio saturati ad azoto. Infine, per il confezionamento ricorriamo a un sistema a doppio vuoto: anche le bottiglie sono saturate in azoto, riempite e chiuse ermeticamente, così da evitare quell’emulsione tipica dell’ossigenazione, a tutto vantaggio della qualità. Sempre».

È un investimento consistente.
«Complessivamente, questa rivoluzione costerà all’azienda 4milioni di euro. Vanno considerati tra i costi anche quelli sostenuti per essere completamente ecosostenibili. L’elettricità è generata dall’impianto fotovoltaico realizzato sulla copertura dell’azienda, mentre il riscaldamento è generato dalla combustione del nocciolino estratto al termine della produzione. Il resto viene utilizzato per la produzione di biogas, senza buttare via niente e rendendo questo frantoio avveniristico completamente autosufficiente».

Poi non resta che promuovere e vendere l’olio prodotto.
«Anche in questo senso siamo molto ottimisti rispetto al percorso che affrontiamo. La commercializzazione procede attraverso la realizzazione di nuovi accordi nazionali, ma soprattutto sfidando mercati nuovi. Dal 23 ottobre, saremo impegnati in un tour asiatico tra Cina, Thailandia e Singapore. Incontreremo i principali food&beverage manager delle catene di hotel e ristorazione a cinque stelle, con dimostrazioni e confronti a pranzo e a cena. Siamo giovani e coraggiosi, ci piacciono le sfide. L’innovazione è la più importante, perché non è mai una sfida vinta».

Nella foto: il responsabile amministrativo e commerciale Antonello Fois
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