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Cagliari OgginotiziecagliariSpettacoloMusica › Basstation festeggia Dexi anni. Intervista con Matteo Mannu
Stefano Idili 1 luglio 2015
Basstation festeggia Dexi anni
Intervista con Matteo Mannu
Nel 2015 spegne 10 candeline. Anzi, Dexi. E´ Basstation, una delle più longeve e soprattutto fondamentali e seminali organizzazioni in Sardegna, e non solo, nell´ambito (ad ampio raggio) della musica elettronica e nello specifico da club. Intervista con l´ideatore e il deus ex-machina Teo Mannu


CAGLIARI - Nel 2015 spegne 10 candeline. Anzi, Dexi. E' Basstation, una delle più longeve e soprattutto fondamentali e seminali organizzazioni in Sardegna, e non solo, nell'ambito (ad ampio raggio) della musica elettronica e nello specifico da club. Concetti oramai superati dal tempo e soprattutto dal naturale sbocco di alcuni eventi che sempre più spesso trovano ospitalità in luoghi storici, pubblici e anche di estremo valore paesaggistico.

E' il caso dell'anniversario di Basstation che prenderà forma questo sabato 4 luglio presso lo stupendo scenario del Parco dei Suoni a Riola Sardo. Questo grazie all'azzeccato connubio con l'European Jazz Expò, creatura di Massimo Palmas, decano degli organizzatori sardi e uno dei più illuminati a livello nazionale rispetto i format proposti, a partire da Jazz in Sardegna.

Dal 2 al 5 luglio musica jazz, nelle sue varie forme anche più moderne, e poi sabato notte da mezzanotte il compleanno della realtà nata a Cagliari 10 anni fa: Basstation. E per l'occasione abbiamo intervistato Matteo Mannu, colui che l'ha ideata, voluta e portata avanti, insieme ad un gruppo di persone affiatate e soprattutto appassionate di musica.


Perchè 10 anni fa hai deciso di creare Basstation?

Insieme ad un gruppo di amici avevamo voglia di creare un evento in città basato esclusivamente sulla techno, eravamo molto giovani, ma giravamo l’Europa tra festival e club. Sentivamo il bisogno di creare qualcosa di simile nel posto in cui vivevamo. La musica non mancava, tra di noi c’era una buona base di artisti che seguivano il genere da tempo ma in quel periodo non era semplice suonare in altre situazioni. Credo che lo sviluppo di tutto questo sia stato la conseguenza di una forte passione, trasmessa nel tempo ad un pubblico sempre più attaccato a ciò che facevamo.

Hai avuto dei modelli organizzativi e ovviamente musicali/artistici a cui ti sei ispirato e ti ispiri ancora per realizzare i tuoi progetti?

Le esperienze maturate nella partecipazione ai tanti eventi vissuti fuori dall’isola sono state importanti non solo dal lato artistico, ma anche da quello organizzativo. Credo d’aver imparato osservando situazioni più grandi di me, partecipando con un occhio diverso da quello del normale fruitore, metodi di lavoro che ho adattato a ciò che facevo. Per quanto riguarda la parte artistica ho sempre attuato un lavoro di ricerca abbastanza massivo, cercando di stare sia al passo con i tempi, sia scommettendo sul mio istinto. Quest’ultimo caso è sempre stato il più gratificante, soprattutto quando ho visto diventare grandi nomi che quando sono passati nei nostri eventi erano sconosciuti ai più.
Al tempo internet non era di così largo utilizzo, viaggiare, e scoprire attraverso magazine, negozi di dischi e altre fonti è stato fondamentale. Faccio lo stesso ancora oggi per scoprire cosa verrà e cosa c’è in giro di interessante da proporre, tenendo sempre in considerazione che non tutti i mezzi di informazione da cui si può attingere rivelino sempre l’onestà intellettuale con cui si propongono. In Sardegna sono cresciuto in una realtà come Harder Times, che mi ha insegnato l'uguaglianza, di base ho sempre accolto chiunque nei miei eventi.

Com'era il panorama musicale 10 anni fa e com'è oggi, quali differenze ci sono?

Dieci anni fa c’era più onestà, anche se era tutto più low-profile. La musica da club come tante altre cose nella vita segue dei cicli, abbiamo visto cambiare e fondersi tanti generi, musicalmente parlando ci sono tante cose belle ma più spazzatura rispetto ai tempi. Un tempo, non erano in tanti a potersi permettere di produrre o a poter comprare valigie di vinili, c’era sicuramente più selezione (naturale).

Il livello delle produzioni dei dj e anche spesso live del cagliaritano è altissimo. Ma cosa dovrebbero fare secondo te le istituzioni per far crescere tale movimento?

Le istituzioni dovrebbero fare semplicemente quello che fanno con i generi “più istituzionali” (vedi jazz e musica colta in Sardegna), senza creare delle classi di merito a parer mio fantascientifico. Non ho un gran rapporto con le istituzioni, le mie esperienze personali sono state nella maggiore dei casi negative, la burocrazia e le leggi in merito agli eventi in Italia non aiutano a crescere. Ho sempre realizzato ciò che avevo in mente senza alcun finanziamento pubblico, poco aiuto amministrativo, credo molto nella volontà del singolo, più che nel dover convincere persone in uffici tecnici e della cultura che si rifiutano di capire o aiutarmi in ciò che ho proposto in questi anni.


Cosa di porti dentro dell'esperienze di vita a Berlino e a cosa ti è servita, sia dal punto di vista professionale che personale?

Come ho già detto prima tutte le esperienze fuori dalla mia terra sono state spesso fondamentali. Alcuni anni a Berlino mi hanno fatto scoprire la semplicità delle cose, sia nello stile di vita, sia negli eventi. Di quanto poco basti per essere felici senza curarsi di aspetti a cui le persone nel posto in cui vivo ora diano troppa importanza (vedi l’apparenza). Questa città (sono proprio qui in vacanza mentre scrivo) è una scuola di vita ma non è per forza il punto di arrivo, anzi per me è stato di ripartenza. Aver avuto l’opportunità di vivere in una metropoli così tollerante sotto tanti punti di vista ti aiuta ad avere un approccio diverso alla vita. Un posto in cui la musica e la cultura in genere hanno lo spazio che meritano ti da speranza. La speranza non può dipendere da grandi piani di pubblicità e marketing, ma dalla forza delle idee diffuse nel modo giusto e con passione. Qui, credo d’aver imparato qualcosa anche in questo.

Negli ultimi anni hai sviluppato diversi progetti, tutti originali e molto particolari che però hanno trovato sempre ottimo riscontro di pubblico, dunque anche la musica di "nicchia", e non solo la commerciale, può fare numeri importanti in Sardegna?

Se devo essere sincero negli ultimi anni mi sono ritrovato in alcune occasioni a dover proporre dei contenuti non proprio di nicchia, se devo fare un’auto-critica credo d’essere entrato in un vortice che non sempre ha coinciso con le mie idee. Chi mi conosce sa distinguere le scelte forzate da quelle proposte con il cuore, in ogni caso credo siano comunque la minor parte. Le proposte di nicchia non piacciono ai gestori dei club (i pochi che esistono), molta techno poi nello specifico ha raggiunto oggi un livello di gradimento fuori dalla norma che difficilmente non è riconducibile al main-stream. Per questo spesso mi ritrovo davanti ad un bivio che a volte non ho potuto non imboccare, ma fortunatamente posso dire d’aver trovato il modo per potermi dedicare nei prossimi mesi a ciò che realmente voglio, scommettendo ancora una volta su contenuti meno noti, quelli che insomma nella loro riuscita negli anni passati mi hanno dato maggiori soddisfazioni. Credo che la storia di Basstation sia stata una reale testimonianza che si possa scommettere sulla buona partecipazione presentando idee che non rappresentino l’hype del momento. I numeri non possono essere un’obbiettivo ma una conseguenza di una buona idea alla base.

Quali sono i tuoi dj o band preferite?

Mi sono già fatto questa domanda da solo molto spesso, e come ogni volta giungo alla conclusione che non c’è niente di eternamente meglio per me. Ascolto di tutto e ho sempre abbinato la musica ad un particolare momento delle mie giornate o particolari periodi della vita in cui ho avuto bisogno di sentire qualcosa di giusto per ciò stavo vivendo. Non mi va di mettere niente e nessuno sul trono, ogni momento della mai vita è riflesso su un certo suono o ritmo che magari nello stesso mi è sembrato il più adatto o preferito.

Perchè è cosi difficile collaborare tra le varie organizzazioni e anche tra gli artisti stessi?

Ho collaborato e continuo farlo con un sacco di realtà. La difficoltà è nel trovare degli spazi in cui ciascuno possa esprimere la propria idea, personalmente non amo condividere lo stesso stage con proposte artistiche che non rispecchiano il mio gusto, ma questo credo sia più una questione di rispetto per se stessi. In ogni caso, come ho già spiegato prima è capitato anche questo, per una serie di ragioni che solo chi lavora in Sardegna in questo mondo può intuire.

Qual è la cosa che più ti inorgoglisce di essere sardo e quella che ti fa provare imbarazzo o addirittura vergogna?

Più che orgoglio la chiamerei forza, è il fatto di essere nato in un posto meraviglioso, con la continua voglia di trasformare certi luoghi in singolari e naturali scenografie per gli eventi che realizzo, oltre che continua ispirazione in ciò che faccio. Abbiamo luoghi, cultura ed una storia che possono far nascere nuovi eventi per decenni, ispirandoci ed alcuni aspetti che probabilmente appartengono solo alla Sardegna. La vergogna invece è più malumore, nel continuare a notare che l’attenzione del pubblico è spesso rivolta a contenuti scontati e non a ciò che si è deciso di vivere o ascoltare da soli. Inoltre, non accetto la resa delle persone con cui vivo, sembrano tutti già vecchi a trent’anni, non credono nella riuscita di eventi magari "diversi" dal solito, parlano del fatto che sia un problema della “gente”, non pensando che la gente sono anche loro stessi e che lo sforzo del singolo può cambiare le cose.

In chiusura, raccontaci uno dei momenti più belli di questi 10 anni e quello invece più brutto o difficile?

Direi che si possa racchiudere nella stessa occasione. Stay Up Festival è stato tutto, gioie e dolori. Portare così tanti artisti internazionali a quell’epoca, in un posto straordinariamente bello come le Miniere di Montevecchio, dar vita con musica e luci ad un sito minerario abbandonato è stata un’emozione unica soprattutto per la giovanissima età che avevo. La non-sostenibilità economica dell’evento è stato invece il boccone più amaro della mia storia da promoter, che per fortuna nel tempo, con sforzo, si è risolta come un esempio di cui far tesoro in seguito.


Nella foto Matteo Mannu
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